NBA Salary Cap (part 4): Contratti

Come certamente saprete, il mercato NBA non è libero.
Ci sono restrizioni alle operazioni che le squadre possono effettuare in entrata e uscita, come visto nelle parti precedenti di questa follia guida.
E anche i termini contrattuali che definiscono i rapporti tra giocatori e squadre sono limitati da valori minimi e massimi in termini di durata, ammontare e variazioni, che saranno l’argomento di questo pezzo.

Prima di vedere tutto ciò nel dettaglio però, piccolo disclaimer.
Tutti i numeri di cui siamo a conoscenza grazie ai soliti siti di riferimento (vedi parte 1, ultime righe) rappresentano il valore nominale del contratto, NON quello reale.
Sono un artificio sportivo utile a definire la situazione della squadra e le possibilità della stessa di operare sul mercato e assomigliano abbastanza al reale ingaggio percepito dal giocatore, ma NON coincidono con questo.
No, non è questione di netti, lordi e tassazioni locali, che rappresentano un’ulteriore variabile.
E neanche di mancanza di correttezza dei dati riportati, che anzi, nella stragrande maggioranza dei casi sono perfetti.
E’ che si tratta di un sistema molto particolare anche da questo punto di vista.
Ma ne parliamo nella parte 5.
Sappiate semplicemente che i termini “salario” e “stipendio” sono utilizzati in modo improprio.

Doverosa premessa fatta, partiamo dalla situazione più semplice:


MINIMO SALARIALE

E’ il contratto base.
Può essere offerto sempre e comunque (tranne nel caso in cui portasse a sforamento dell’Apron per squadre soggette ad Hard Cap, vedi parte 3) e ha ammontare variabile a seconda degli anni di esperienza NBA del giocatore.
Per la stagione 2013/14, un rookie (esperienza pari a zero) firmato al minimo avrà salario pari a 490.180 dollari.
Un veterano con 10 o più stagioni NBA alle spalle firmato al minimo avrà salario pari a 1.399.507 dollari.
Il resto della scala, per questa e le prossime stagioni, può essere visibile qui.
Durata massima 2 anni, incremento annuo… si resta al minimo.
Ovviamente adeguato a stagione e esperienza acquisita.
Quindi un giocatore che oggi firma un biennale al minimo con 3 anni di esperienza avrà per la stagione 2014/15 salario pari al minimo previsto per la stagione 2014/15 per un giocatore con 4 anni di esperienza.
E così via.


MASSIMO SALARIALE

E’ il contratto massimo cui un giocatore può ambire in caso di offerta senza Bird Rights, quindi in caso di situazione standard, sotto il cap.

Anche questo varia in funzione degli anni di esperienza del giocatore:
– se il giocatore ha giocato tra zero e sei stagioni in NBA, il massimo salariale è pari a 13.701.250 dollari
– se il giocatore ha giocato tra sette e nove stagioni in NBA, il massimo è pari a 16.441.500 dollari
– se il giocatore ha giocato dieci o più stagioni in NBA, il massimo è pari a 19.181.750 dollari
– se il 105% del salario del giocatore nella stagione precedente è superiore al valore della fascia di riferimento, sarà questo ad essere utilizzato (vedi ad esempio i rinnovi di Chris Paul e Dwight Howard, che hanno seguito questo principio, o il contratto di Kobe Bryant, che è stato rinnovato in ogni singola occasione al massimo possibile, fino ad arrivare ai 30 milioni di ingaggio attuale)

Inoltre, per premiare i giocatori che già nei primissimi anni di carriera dimostrano di meritare riconoscimenti particolari, è stata introdotta la cosiddetta Derrick Rose Rule (chiaramente perché il primo beneficiario è stato il giocatore dei Bulls, applicata in seguito anche per Blake Griffin e James Harden): se un giocatore nei primi 4 anni di carriera
– viene nominato per due volte All-NBA (primo, secondo o terzo quintetto è indifferente), e/o
– viene votato per due volte come starter in quintetto all’All-Star Game, e/o
– vince almeno un titolo da MVP

al momento del rinnovo ha diritto ad accedere al max contract destinato a giocatori con esperienza maggiore (la fascia di mezzo, 7-9 anni).

In ogni caso, per quanto riguarda i massimi salariali la durata massima del contratto è pari a 4 anni, con incremento annuo massimo del 4,5%.

Tutto questo però, ricordo, è destinato ai contratti firmati con spazio salariale.

Il resto è il favoloso (più o meno…) mondo delle eccezioni, di cui si è già ampiamente parlato e che qui, per gentile concessione del solito impagabile Larry Coon, si trova riassunto in una comoda tabella:

LARRY BIRD EARLY BIRD NON-BIRD Full MLE Mini MLE Room MLE Bi-Annual
QUANDO Proprio
Free Agent,
3 anni di maturazione
Proprio
Free Agent,
2 anni di maturazione
Proprio
Free Agent
Squadra sotto l’Apron Chiunque Squadra partita sotto il cap, al superamento Non in stagioni consecutive
DURATA MIN 1 2 1 1 1 1 1
DURATA MAX 5 4 4 4 3 2 2
SALARIO MAX Valore fisso (vedi sopra) Maggiore tra 175% del precedente e salario medio Maggiore tra 120% del precedente e 120% del minimo Valore fisso (nel 2013/14, 5,15M) Valore fisso (nel 2013/14, 3,183M) Valore fisso (nel 2013/14, 2,652M) Valore fisso (nel 2013/14, 2,016M)
INCREMENTO MAX 7,5% 7,5% 4,5% 4,5% 4,5% 4,5% 4,5%

Definizione di salario medio a parte (vedi qui), tutta roba già vista e già sentita.


LA ROOKIE SCALE

Tutto il suddetto sistema vale anche per i rookies, cioè i giocatori senza alcuna esperienza NBA, non scelti al primo giro.
Gli undrafted (vedi gli esempi recenti di Prigioni, Teletovic e Datome tra gli Internationals e di numerosi giocatori Statunitensi) sono considerati semplici Free Agents.
Quindi possono essere firmati con spazio salariale, eccezioni o al minimo.
Stesso discorso vale per chi viene scelto al secondo giro, con l’unico vincolo di poter essere firmati solo dalla squadra che ne detiene i diritti (che non hanno scadenza).

Per i giocatori scelti al primo giro invece esiste un sistema dedicato.
Il giocatore può sempre essere firmato (o quasi, ma sono casi estremi), senza utilizzare altri strumenti salariali.
La durata del contratto è obbligatoriamente di due anni, più altri due in team option (indispensabili come già spiegato per poter accedere alla restricted free agency), esercitabili singolarmente.
L’ammontare del contratto segue una scala di riferimento (vedi QUI) e in teoria garantirebbe alle franchigie la possibilità di offrire un valore compreso tra l’80 e il 120% di quello indicato, ma ormai è prassi che si opti per il 120%, pena incidenti diplomatici con giocatore e agente (vedi la situazione di Xavier Henry al momento della firma con i Memphis Grizzlies).

Nel caso in cui il giocatore (si pensi ad esempio a Rubio) decidesse di posticipare il proprio ingresso in NBA, per 3 anni sarebbe soggetto alla rookie scale, cioè avrebbe contratto pari al valore corrispondente alla posizione di scelta originaria, ma della stagione in cui effettivamente inizia a giocare nella Lega.
A partire dal quarto anno invece scompare il vincolo alla rookie scale. Se il giocatore non considera sufficientemente remunerativo il contratto previsto ha la possibilità di essere firmato come un normale free agent, quindi con contratto libero, ma utilizzando spazio salariale o un’eccezione (tendenzialmente la MLE).
Nota a margine, questo è uno dei motivi per cui Nikola Mirotic sta posticipando il proprio trasferimento ai Chicago Bulls, dato che per la stagione in corso, l’ultima in cui è legato alla rookie scale, il suo ingaggio sarebbe stato limitato a poco meno di 1,25 milioni (120% della valore corrispondente alla 23esima scelta).

 

LE ESTENSIONI

Non tutti i contratti possono essere estesi, cioè prolungati in corsa senza portare il giocatore alla free agency, con il nuovo accordo che però non sostituisce il precedente, ma vi si “accoda”.
Anzi, i casi in cui ciò può essere fatto sono pochi e presentano (toh che strano) alcune limitazioni.
Nel dettaglio possono essere estesi solo i contratti di durata pari a 4 o più anni, o perché firmati in quanto tali, o perché derivanti da precedenti estensioni.
Solo per i giocatori in uscita dal contratto in rookie scale però l’estensione è più vantaggiosa economicamente della firma da free agent sfruttando i Bird Rights: per i normali contratti pluriennali l’estensione massima consentita è infatti pari a 3 anni (come detto, oltre a quello/i restante/i nel contratto originario), mentre i contratti in rookie scale possono essere estesi per 4 ulteriori anni o, in caso di Designated Player, addirittura 5.

Designated Player. Cioè colui che ogni franchigia designa come proprio franchise player e cui affida i propri destini.
Ogni squadra può designare un solo giocatore, può averne contemporaneamente a roster al massimo 2 (arrivando eventualmente al secondo via trade) e non può designarne un ulteriore finché il contratto designato in origine non sarà arrivato a scadenza.
Al momento solo Rose, Griffin, Harden e Westbrook (ma solo perché Durant ha rinnovato il proprio contratto sotto il vecchio CBA, che prevedeva un sistema differente) sono Designated Players.

Insomma, tutto ciò spiega perché con il nuovo CBA si assista in modo pressoché esclusivo ai rinnovi di giocatori di primissima fascia al quarto anno di attività (estensione possibile dal primo giorno post-moratoria fino al 31 ottobre), come i suddetti.

Ecco quindi la logica:
– se una squadra ha sotto contratto un giocatore scelto al primo giro e che si hanno pochi dubbi possa essere un franchise player, gli estende il contratto e possibilmente ne fa il proprio Designated Player (possibili estensioni in arrivo: Wall e George a breve, Irving tra 12 mesi)
– se una squadra ha sotto contratto un giocatore scelto al primo giro che non ritiene meritevole, per svariate ragioni, del massimo salariale, prova ad estenderlo a cifre leggermente inferiori al massimo stesso. A volte funziona (Stephen Curry, Ibaka), altre no (Hibbert) e sarà la Restricted Free Agency a fare il prezzo, che la squadra deciderà poi se accettare pareggiando l’offerta
– se una squadra ha sotto contratto un veterano meritevole del massimo salariale, è pressoché impossibile che questi accetti l’estensione (3 anni da aggiungere al contratto) e si arriverà quindi alla Free Agency senza restrizioni. A volte il nuovo contratto quinquennale è automatico o quasi (Chris Paul), in altri casi non va a finire come si vorrebbe (Dwight Howard).

Non vi basta? E allora ecco un riepilogo di tutte le estensioni di rookie contracts degli ultimi 10 anni.

 

OPZIONI E GARANZIE

Non tutti i contratti sono chiusi e definitivi.
Esiste infatti la possibilità (predeterminata, stabilita alla firma) di accorciarne la durata originaria.
In caso di Team Option (possibile sull’ultima stagione di qualsiasi contratto pluriennale) è la squadra a potersi avvalere della facoltà di terminare il contratto con un anno di anticipo.
In caso di Player Option (idem) o Early Termination Option (solo sulla quinta e ultima stagione di un quinquennale) la facoltà sta al giocatore.
Ogni contratto può in ogni caso contenere una sola di queste opzioni.

Inoltre, è possibile che alcune parti di un contratto non siano completamente garantite.
Per tutte le casistiche rimando ancora una volta a Larry Coon, ma principalmente le garanzie si dividono in due categorie: di tempo e di requisiti.
Nel primo caso nel contratto è presente una data oltre la quale il contratto diventa completamente garantito, ma prima della quale in caso di taglio la squadra è tenuta a pagare al giocatore solo una percentuale fissata di comune accordo.
Un esempio di questo tipo era rappresentato dal contratto di Paul Pierce, che in caso di taglio prima del 30 giugno sarebbe stato garantito per circa un terzo (5 milioni su 15).
Nel secondo caso nel contratto sono presenti dei requisiti (solitamente minuti o partite giocate) al raggiungimento dei quali il contratto diventa garantito, ma che se invece non vengono raggiunti… Va beh, ci siamo capiti.
Sistema dei requisiti che peraltro è valido anche per l’assegnazione di eventuali bonus di prestazione… Larry, fai tu.

Il concetto finale però è: tutto ciò che c’è, resta.
Tutto ciò che non era previsto dal contratto, non si può fare.
E in pratica pressoché nessun contratto può essere rinegoziato al ribasso.
Per “ridurre lo stipendio” di un giocatore non si può che aspettare la scadenza del contratto in essere.
Esiste teoricamente la possibilità di rinegoziare al rialzo… ma nessuna squadra lo farà mai, detto in parole povere.

 

TAGLI E BUYOUTS

E’ chiaro però che nessuna squadra è obbligata a tenere un giocatore indesiderato.
Se possibile, può tagliarlo tramite Amnesty Provision nei tempi e modi previsti, facendolo “sparire” dal Cap.
Può fare altrettanto tramite Stretch Provision, “spalmandone” la parte rimanente.
Può ovviamente provare a cederlo ad un’altra squadra, nella speranza di riuscire a farlo ad un prezzo “equo”.
Oppure può semplicemente tagliarlo. Dandogli però ogni singolo dollaro garantito previsto dal contratto e tenendosi la stessa parte garantita a pesare sul cap.

Teoricamente vale anche il contrario, cioè anche un giocatore può chiedere di uscire dal contratto, rinunciando a qualsiasi pretesa economica.

Oppure esiste la via di mezzo tra le due ipotesi. Una soluzione che scontenta entrambi, ma che non fa torto a nessuno.
Il buyout.
Squadra e giocatore si accordano per terminare consensualmente il rapporto.
La squadra tiene il contratto interamente a cap, ma ottiene uno sconto dal punto di vista economico, con il giocatore che “paga” la propria libertà rinunciando a una parte più o meno cospicua dell’ingaggio previsto.

Perché sì, come detto in apertura ciò di cui si è parlato fino ad oggi non sono i soldi veri, ma è un sistema sportivo.
Per vedere ciò che effettivamente passa sui conti corrente, serve (almeno) un articolo a parte…

Che arriva a breve. Si spera.

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